Fonte: Tuttoscuola – 15 febbraio 2021
Una nota del capo dipartimento uscente Max Bruschi di giovedì 4 marzo che ha scatenato un week end di fuoco a tutti i livelli nel mondo dell’istruzione. “Mio marito è commerciante all’ingrosso di bevande, io educatrice di nido, pertanto chiediamo che nostra figlia segua in presenza le lezioni”. “Lavoro in un’azienda che raccoglie rifiuti e mio marito è proprietario di un bar, nostro figlio ha diritto a venire a scuola?”. (…) Anche chi lavora come commessa in un supermercato se lo è chiesto e ha rivolto la domanda alla scuola del figlio. Da venerdì 5 marzo le scuole italiane sono subissate da richieste di questo tipo, mentre tantissimi genitori dei 5,7 milioni di alunni per i quali è stata prevista la didattica a distanza si chiedono se possono mandare i figli a scuola o se da lunedì devono organizzare soluzioni alternative. Tuttoscuola è in grado di svelare il retroscena della bufera scatenata dalla nota di Bruschi che è giunta ai più alti livelli istituzionali. Poche ore prima dell’emanazione della nota di Bruschi, l’ex ministra Lucia Azzolina ha trasmesso una lunga diretta Facebook (di cui parliamo in altra notizia), durante la quale ha sottolineato che il nuovo Dpcm non ha previsto la possibilità – a differenza di quanto previsto dalle disposizioni del Piano Scuola 2020-2021 del giugno 2020 – che “le scuole restassero aperte per accogliere i figli dei lavoratori operanti nei servizi pubblici essenziali”. “Sono invasa di lettere – ha aggiunto la Azzolina – da parte di medici e operatori sanitari con figli a scuola che chiedono dove lasciare i figli la mattina”. Ci ha pensato poche ore dopo il suo più stretto collaboratore a viale Trastevere a inserire la possibilità nella nota ministeriale, approfittando dei tempi del passaggio di consegne con il suo successore e scatenando un putiferio. Nella nota da lui trasmessa – in vece del nuovo capo dipartimento Stefano Versari, che in attesa della registrazione da parte della Corte dei Conti della sua nomina non sta firmando atti ufficiali – alle istituzioni scolastiche per l’applicazione dell’ultimo DPCM sulle “Misure urgenti per fronteggiare l’emergenza epidemiologica da COVID-19”, ha inserito una sua personale interpretazione estensiva al dispositivo che all’art. 21 del Dpcm prevede la “possibilità di svolgere attività in presenza qualora sia necessario l’uso di laboratori o per mantenere una relazione educativa che realizzi l’effettiva inclusione scolastica degli alunni con disabilità e con bisogni educativi speciali”. Oltre agli alunni con disabilità e con BES di cui parla il DPCM, Bruschi ha contemplato la possibilità di consentire l’accesso a scuola in presenza anche per i “figli di personale sanitario o di altre categorie di lavoratori, le cui prestazioni siano ritenute indispensabili per la garanzia dei bisogni essenziali della popolazione”. Si tratta dei cosiddetti key workers che possono essere individuati, consultando la lista dei Codici Ateco, allegata al DPCM del 22 marzo dell’anno scorso, lista di cui manca tuttora l’atto dispositivo. Per questa interpretazione Bruschi ha fatto riferimento al Piano Scuola 2020-21. Questi i fatti, a cui hanno fatto seguito le richieste di molte famiglie, il disorientamento di tanti dirigenti scolastici e l’imbarazzo degli Uffici regionali per l’evidente contrasto tra il DPCM e la nota.
Abstract intervista di Redazione