Oltre una foto c’è di più…

Negli ultimi anni è avvenuto il passaggio dall’immagine analogica a quella digitale. Un passaggio silenzioso ma intenso e sconvolgente. L’immagine digitale, infatti, ha raggiunto un elevato livello di diffusione nella società. Questa diffusione, probabilmente, è stata resa possibile dalla natura molto libera dei file digitali che, non avendo un legame diretto con un originale, possono essere riprodotti e manipolati senza limiti. Pertanto è necessario chiedersi quale sia l’influenza che esercita sulla nostra cultura l’enorme moltiplicazione di immagini digitali. Si pensi solo all’ampio uso di immagini che viene fatto nei social media. Soprattutto Instagram dove ogni giorno vengono caricati più di 80 milioni di foto e gli utenti quotidiani superano i 500 milioni di utenti che comunicano prevalentemente attraverso immagini: statiche o in movimento; cioè mediante fotografie o video che alla fine ci spingono a semplificare le nostre antropologia e cultura, perché ci chiedono di rappresentarci agli occhi degli altri diffondendo immagini che riproducono in maniera parziale la nostra personalità e ciò che accade nella nostra vita privata. D’altronde va considerato che Instagram “quadratizza” il mondo. Impone cioè nella sua prima pagina un formato quadrato a tutti gli scatti, trasformando perciò il tradizionale formato rettangolare. Inoltre, mette a disposizione strumenti che consentano di manipolare le immagini (filtri, correzioni di esposizione, luminosità, nitidezza…). Ciò produce un processo di costante riconfigurazione dei linguaggi attraverso i quali il quotidiano viene rappresentato dalle persone. Anche perché dal 2018 l’algoritmo che regola Instagram ordina i materiali visivi caricati dagli utenti in base al livello di popolarità ottenuto e dunque gli individui sono indotti a partecipare a un’accesa competizione dove vince chi Riesce a colpire l’attenzione, a essere percepito come più piacevole e divertente, a suscitare un elevato livello di consenso, a volte certificato rispondendo con piccoli cuori. Ne deriva che sempre più di frequente le immagini che ci circondano, anziché limitarsi a cercare di riprodurre la realtà, tentano di migliorarla. Qualcuno ha coniato l’aggettivo Instagrammaabile per indicare che la nostra cultura è sempre più costretta ad adattarsi agli standard comunicativi imposti dai social media statunitensi. Si spiega così perché diversi studiosi attribuiscono alle immagini la capacità di presentarsi come entità dotate di un’esistenza autonoma. Certo, si tratta di un’esagerazione, ma utile per capire ciò che accade. Perché un’immagine rimane pur sempre un’immagine: forma espressiva, strumento linguistico. Produce però effetti concreti. Opera nella società costringendo le persone a interagire con essa e a compiere certe azioni. Perciò, forse non è un caso che oggi i semiotici sostengono che le immagini siano dotate di agentività, cioè della capacità di effettuare azioni. Vale a dire che spesso le immagini vengono considerate come uno strumento che non è semplicemente a disposizione di chi intende comunicare, ma possiede anche il potere di modificare situazioni e persone. Perché, come tutti gli attori sociali, spiegano, confondono, divertono, spaventano, eccitano e così via. Le immagini hanno sempre avuto una grande forza comunicativa ma se oggi si ragiona così è probabilmente perché l’arrivo del digitale ha incrementato il loro potere. Prima si prendeva una foto, si illuminava o contrastava forse un po’, si metteva una cornice carina e via, il post era online. Oggi esiste di tutto: applicazioni che ti sbiancano i denti, ti tolgono le rughe, ti truccano, ti fanno i capelli di un altro colore, ti allungano, ti smagriscono e fanno il cielo azzurro anche se in realtà è grigio perché piove. Un editing così meticoloso da metterci insomma una vita a editare una foto. Basterebbe truccarsi un attimo e non pensare troppo al filtro più in ombra o che ci fa la pelle più abbronzata. I social media possono essere un luogo per riconnettersi o per sentirsi oltremodo connessi. Possono essere un luogo per esprimere vera felicità o per assumere, in modo ingannevole, un viso sorridente da mostrare.

Di Gaia Lupattelli

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