14 giorni al concorso straordinario: incognite sulla prova in presenza. Si farà solo per titoli?

A due settimane dal primo giorno di prove, giovedì 22 ottobre, le incognite che pesano sul concorso straordinario docenti per posto comune e sostegno sembrano crescere di ora in ora.

La prima: il Covid. Il climax ascendente del contagio (!) si è già fatto sentire e la stretta sulle attività in presenza del DPCM che prolunga lo Stato di Emergenza al 31 gennaio 2021 ne è la proiezione plastica. Neanche il Natale si salverà.

La seconda: un fronte politico in ordine sparso, che nelle ultime settimane ha cambiato opinione più di una volta. Sia tra i banchi dell’opposizione che della maggioranza. Se la Lega, per fare riferimento alle dichiarazioni del suo leader Matteo Salvini, dapprima ha chiesto di sospenderlo e poi di andare per titoli, sopprimendo l’unica prova scritta, il PD prima ha difeso il concorso in presenza per poi ripiegare verso una procedura straordinarissima sulla falsa riga di quella proposta dalla Lega.

Ma il Governo per ora regge anche all’offensiva delle maggiori sigle sindacati che hanno indetto una manifestazione generale il 14 ottobre per ripensare tutto il pacchetto dei 5 reclutamenti previsti in presenza: straordinario, posto comune e sostegno, ordinario posto comune e sostegno e straordinario abilitante. La richiesta dei sindacati, appoggiati dal movimento precari italiani, è trasformare tutto in una procedura in titoli o rimandare, dal momento che i vincitori non sarebbe comunque immessi a scuola immediatamente ma dal prossimo anno scolastico. Per i precari è una questione anche di opportunismo: il Ministero non sta a sottilizzare quando i precari risolvono in problema delle cattedre vuote ma perché ne abbiamo una tutta loro è necessario che superino una sorta di ordalia, considerati l’esposizione ai fattori di rischi di svolgere una prova in presenza, sebbene con un sistema di sicurezze, controlli e tutele rafforzato a prova di Covid. Con il rischio che i supplenti, per diventare di ruolo, si ammalino e lascino le cattedre ai supplenti delle seconde file, sempre che siano rimasti in fila.

Il Ministro Azzolina ha subito chiarito che i concorrenti dello straordinario non sono precari storici. Per quelli ci sono le GAE, le graduatorie ad esaurimento. Il Ministro ha anche protestato per la schizofrenia con cui l’agenda della priorità viene riscritta periodicamente. “Senza il merito dei titoli e la selezione delle prove, non ci lamentiamo dei dati poco lusinghieri sulla qualità della scuola italiana”.

Sulla revisione dei metodi di selezione della classe docente, impossibile sostenere che non ci sia qualcosa da rivedere. Se questo qualcosa vada rivisto nel ben mezzo di una pandemia è molto discutibile.

Le stime dicono che in questo momento i supplenti nella scuola italiana sono 250mila. Un numero considerevole rispetto alle cattedre messe in palio allo straordinario, 32mila, o a quello ordinario, 30mila.

Il fuggi-fuggi generale dalle chiamate delle GPS e dei presidi sta infatti facendo la fortuna di chi, magari escluso perché senza CFU o completamento della classe di concorso, è rimasto a piedi ed ha ripiegato sulle MAD, le messe a disposizione, per le quali, dal punto di vista giuridico, è sufficiente avere una laurea triennale.

Non sappiamo se sarà l’aggressività del virus ad avere la meglio sulla determinazione dell’Azzolina o la pressione concentrica dell’arco costituzionale e dei sindacati su Conte, tuttavia la serietà del momento forse dovrebbe ispirare una sobria determinazione, un’austerità nella postura politica e mentale di tutte le sensibilità che gravitano nel mondo della scuola. Fare, fare in fretta e con la mascherina sempre su potrebbe essere un approccio responsabile e all’altezza dei tempi che stiamo vivendo piuttosto che contribuire ad allargare la corsia agevolata di una procedura comunque molto ridotta rispetto ad un reclutamento ordinario.

Ma, come si concluderebbe una favola di Esopo, il concorso insegna che la formazione rimane un pilastro su cui costruire, al riparo di eventi pur calamitosi come una pandemia e imprevedibili come una pandemia, la propria carriera nella scuola italiana. Se davvero saranno i titoli a fare la differenza, questa sarà l’unica lezione che varrà la pena imparare a memoria.

Foto: Pagina Facebook di Lucia Azzolina

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