Il dialetto a scuola, per Sciascia bisogna “accettare la sua ritirata”

Fonte: Latecnicadellascuoa.it – 1 Febbraio 2021

E’ rimasta una promessa mancata l’introduzione dell’insegnamento del dialetto a scuola. Alcuni lustri addietro l’assessorato regionale all’istruzione della Sicilia fu annunciato che il dialetto siciliano sarebbe entrato come materia di studio nelle scuole. L’obiettivo era il recupero delle tradizioni e di una “lingua” che stava per perdersi. Tra le ipotesi venne proposto di usare il siciliano per le messe al posto dell’italiano o del latino. La scuola, dunque, leva importante, ancora una volta, per un progetto di “portata storica”: applausi e congratulazioni da molti ambiti, ma a conti fatti non si è visto nulla da nessuna parte, né in nessuna aula. In realtà si è trattato del solito annuncio propagandistico senza dati fattuali. E non poteva essere altrimenti, considerato pure che la stessa lingua italiana stenta a essere capita e scritta dai nostri alunni, come dimostrano i dati Ocse-Pisa. Del resto Leonardo Sciascia aveva ricordato che il dialetto riguarda i sentimenti più intimi e che “nessun’opera di pensiero può essere scritta in dialetto”. Ma non solo, affermava pure che occorreva “accettare l’avanzata della lingua italiana e la ritirata dei dialetti, senza alcun rimpianto”, chiosando: “non farei nulla perché i giovani tornassero ad usarlo”. Insegnarlo a scuola avrebbe in ogni caso preteso un’abilitazione e una classe di concorso, che non esistono, e ore in più nel curricolo, che impossibile aumentare, tranne in ore non scolastiche con fondi ad hoc stanziati. Ma sempre con l’incertezza di trovare docenti preparati a dovere, classici su cui discutere, testi filologici autorevoli, che ci sono, pochi, ma di cui si deve avere conoscenza. Proposte al vento, tanto per dirottare l’attenzione dai veri e grandi problemi della scuola, che la pandemia ora sta rischiarando.

Abstract articolo di Pasquale Almirante

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