La scuola perduta dai ragazzi del Sud

Fonte: Corriere della Sera  – 30 aprile 2021

Al Sud tanti bambini e ragazzi non hanno potuto frequentare in classe nemmeno la metà del tempo rispetto ai loro coetanei di Roma, Firenze o Milano: alle superiori di Napoli 31 giorni sui 134 da calendario, tagliati dai Dpcm e dalle ulteriori restrizioni regionali, 58 su 144 alle medie di Bari, 45 su 134 alle secondarie di Reggio Calabria. Sono voci che raccontano la storia di un divario formativo sempre più grave per studenti come Lorenzo, 13 anni, che «faceva finta», si metteva davanti al computer e subito la testa gli viaggiava altrove: i professori della sua scuola media, eternamente in didattica a distanza nella periferia problematica di Napoli Est, l’avevano dato per «quasi disperso»; o come Michela, sua coetanea, che ci avrebbe messo testa e pure cuore, nelle lezioni in video, se solo non avesse dovuto combattere col fratellino disabile e i genitori disoccupati per un angolino tranquillo davanti all’unico tablet nel solo buco di stanza del loro basso, la cucina. (…) Questione meridionale e questione scolastica al tempo della pandemia coincidono fino a sovrapporsi. E non ci consola granché sapere che la tendenza del Covid-19 a impoverire i più poveri sia planetaria: i minori di America latina, Caraibi e Asia meridionale hanno perso il triplo dell’istruzione rispetto ai coetanei dell’Europa occidentale. Dagli studenti del nostro Meridione, riacciuffati a fatica grazie al lavoro di recupero negli Spazi Dad creati in raccordo con le scuole, sale un grido di dolore che racconta ciò che i numeri ci dicono persino con più crudezza: su otto grandi città censite da Save the Children elaborando dati del Miur dall’inizio dell’anno scolastico al 25 aprile, Napoli, Bari e Reggio Calabria sono costantemente in coda alle classifiche della scuola in presenza.

«Vogliamo solo evidenziare la fotografia di un’Italia molto diseguale, non certo attribuire meriti o demeriti, tenendo presente peraltro che tra amministratori cittadini e dirigenti scolastici abbiamo trovato grande sensibilità anche nelle realtà più critiche», spiega Raffaela Milano, direttrice dei programmi Italia-Europa della onlus, attenta a evitare uno scontro ideologico con le Regioni, perché la faccenda rimanda a polemiche politiche sanguinose che hanno coinvolto pesantemente la Campania di Vincenzo De Luca, primatista di chiusure scolastiche, e la Puglia di Michele Emiliano, dove la Dad è stata lasciata alla libera scelta delle famiglie, insomma à la carte .

La sgradevole sensazione è che per trarsi d’impaccio, dal Garigliano in giù, la prima cosa che appare sacrificabile è la scuola. Luca Bianchi è direttore di Svimez e ha scritto con Antonio Fraschilla un saggio dal titolo assai esplicito, Divario di cittadinanza . «In termini di immediato ritorno elettorale a un amministratore locale paga più far costruire una rotonda stradale piuttosto che mettere risorse nel tempo pieno», sostiene: «Ma non è un problema culturale dei meridionali, dipende dalle scelte amministrative. Rispetto ai grandi problemi, la scuola non è percepita come tanto importante. Inoltre, l’amministratore meridionale pensa che, siccome tante donne stanno a casa, la Dad sia più accettabile». Si ragiona sul bisogno del breve periodo, ma si torna sempre al vecchio nodo strutturale dell’economia: «Se in Lombardia chiudo le scuole, c’è la rivolta, perché le donne devono andare a lavorare. Al Sud il sottosviluppo economico determina i criteri di priorità». La ricetta, insomma, parrebbe l’esatto contrario della Dad: tutti in classe, per correre verso un futuro migliore. Chissà se anche a questo pensava Mario Draghi, dicendo in Parlamento che «se cresce il Sud, cresce l’Italia».

Abstract articolo di Goffredo Buccini

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