BELLO!

È una delle duemila parole fondamentali della nostra lingua, quelle che secondo gli studiosi concorrono a formare il 90 per cento dei nostri discorsi.

Yorick Gomez Gane, che insegna Storia della lingua italiana all’Università della Calabria, ci ha scritto un libro edito da Il Mulino, «Bello», che è il titolo e lo descrive benissimo.

«Il termine – scrive – ha radici antiche, ma anche grande vitalità nella lingua di oggi, con una bella (!) varietà di usi tra toponimi, cognomi, canzoni, proverbi, gerghi, dialetti e letteratura. Una parola di grande fascino, perfetta per rappresentare il nostro Bel Paese».

Sull’origine ci sono opinioni concordi. Riportiamo per chiarezza quella esposta dal dizionario Treccani: il termine ha origine dal latino bĕllus, avente il significato di «carino, grazioso», a sua volta derivante da *due- nŭlus, diminutivo di duenos, forma antica di bonus.

Il dizionario di Tullio de Mauro la attesta nella lingua italiana fin dal 1224.

L’origine latina sembrava restringere il significato in un ambito colloquiale, affettuoso, quasi vezzeggiativo. Così come noi usiamo «carino».

Quando i latini volevano invece sottolineare il bello usavano altre espressioni come pulcher o formosus.

Nel passaggio all’italiano questa parola si è presa una bella rivincita, visto che le altre non hanno avuto una grande fortuna e lei invece si è guadagnata un intero cosmo di significati.

Quello che conta è l’impressione.

Quando diciamo bello vogliamo esprimere una impressione esteticamente gradevole sia che si tratti di una persona, un panorama, un’opera.

È una categoria dell’estetica fin dall’antichità, ma può definire solo l’effetto che provoca e mai avventurarsi nella definizione di canoni che cambiano continuamente nel corso del tempo in base agli occhi che osservano, al carattere e alla cultura dei protagonisti.

Per secoli si è tentato di trovare delle definizioni oggettive o quantomeno dei criteri di riferimento, per esempio la ricerca delle proporzioni o della simmetria per quello che si vede o dell’armonia per quello che si sente.

Ma nessuna di queste ricerche è arrivata a un risultato oggettivo. Tanto da farne la più soggettiva delle categorie.

La ricerca artistica. Pensate a come si è evoluto nel corso dei secoli il concetto di bellezza nel mondo dell’arte. Noi consideriamo le sculture classiche dell’antica Grecia come dei modelli di bellezza nel loro splendente candore.

Senza considerare che non erano affatto candide, ma molto colorate, in un cromatismo sgargiante che forse i nostri occhi abituati al bianco oggi non gradirebbero.

Pensiamo alla pittura, all’evoluzione delle figure femminili, dalle composte origini dell’arte sacra, alla passionalità del Rinascimento e del Barocco fino allo stravolgimento cubista delle Demoiselle d’Avignon di Picasso.

Non si può ingabbiare il bello nell’arte in una definizione, per questo lo studiamo nelle Accademie di Belle Arti.

Potenza dell’ironia. È talmente forte questo aggettivo da essersi messo a disposizione come rafforzativo naturale in moltissime situazioni: quella ragazza è davvero una bella figliola, peccato che abbia frequentato quel tipo che è proprio un bel mascalzone.

Ottiene lo stesso effetto rafforzativo se precede altri aggettivi: ho lavato la macchina ora è bella pulita.

Se occorre diventa sinonimo di proprio: mi ha chiesto dei soldi, non gli darò un bel niente.

Fino all’aiuto per definire qualcosa di autentico: questo è un insulto bello e buono.

O al significato antifrastico, dove è il paradosso a caratterizzare la frase: bella roba mi hai portato ieri. Evidentemente tanto bella non era.

Gaia Lupattelli

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