IMMISSIONI IN RUOLO: 30.000 CATTEDRE SCOPERTE

Poco più di 50mila posti autorizzati dal Ministero dell’Economia per le immissioni in ruolo del personale docente per l’anno scolastico 2023-24. Peccato che il fabbisogno sia di 80.000 insegnati. Se la matematica non è una opinione mancano all’appello 30.000 posti.

In effetti rispetto agli scorsi anni il Ministero ha indicato una cifra molto inferiore ma va puntualizzato che la scelta è stata quella di calcolare unicamente glia spiranti docenti che hanno i requisiti per salire in cattedra.

IL CALCOLO DEL MINISTERO

Il Ministero dell’Istruzione e del Merito avrebbe una base diversa di calcolo rispetto a quella seguita in passato. Il numero sarebbe appunto quello delle nomine effettivamente possibili, tenuto conto della consistenza delle attuali graduatorie vigenti. Il rimanente tra posti vacanti e posti autorizzati sarebbe destinato al bando dei concorsi (circa 31mila).

Altra novità: il Ministero propone con l’allegato B solo l’ammontare dei posti a livello regionale, mentre spetta agli USR la suddivisione delle possibili assunzioni.

LE CRITICHE DEI SINDACATI

Per la Uil “il non aver autorizzato tutti i posti disponibili, in attesa di una futura procedura concorsuale, in ragione del PNRR, potrà determinare, per esempio, la mancata assunzione in ruolo dei docenti inseriti nelle graduatorie dei concorsi ordinari.

La Uil ricorda che per queste graduatorie è possibile nominare in ruolo anche gli idonei, per i quali, a partire dall’a.s. 2024/25, è prevista l’assunzione in subordine ai vincitori delle prossime procedure concorsuali PNRR. “Per tale motivo, – spiega ancora il sindacato – autorizzare tutti i posti disponibili, così come è stato fatto gli anni scolastici precedenti, e in ragione di graduatorie concorsuali rese ad esaurimento, come dai noi rivendicato e ottenuto, ci appare un controsenso. Ciò potrebbe verificarsi anche per le assunzioni da GPS di I fascia per il sostegno soprattutto nella procedura a chiamata nazionale, per cui ci saranno posti di sostegno in meno rispetto a quelli che potevano essere autorizzati”.

Anche Cisl e Cgil hanno espresso il proprio dissenso su una scelta che, facendo venir meno il principio seguito a partire dalla legge 107/2015, che prevedeva la copertura di spesa per tutte le disponibilità esistenti, crea un precedente discutibile, oltre a determinare numerose problematiche.

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