Empatia, il segreto per la costruzione della relazione educativa

Empatia è una parola che deriva dal greco “en-pathos”: en -dentro, pathos: sofferenza o sentimento.

Al centro dei rapporti tra chi educa e chi viene educato ci sono il valore della persona e tutte le caratteristiche che la rendono unica. La pedagogia assume un ruolo sempre più importante nelle dinamiche relative alle generazioni che apprendono e si formano alla vita. L’affettività condiziona l’apprendimento e i processi cognitivi. Gli affetti, dunque, sono “il magma originario dell’io”, ” i mattoni della sua identità”, poiché dominano il soggetto e lo strutturano. Tra i processi emotivi e l’apprendimento esiste una profonda connessione, poiché esso “si sviluppa sempre all’interno di una relazione affettiva”. Il rapporto educativo significa presenza esistenziale dell’educatore per l’educando. L’apprendimento non è mero condizionamento e assimilazione passiva di contenuti preconfezionati, ma per la forte componente di attivazione emotivo-cognitiva rappresenta una sfida e un’avventura che implica un atto di fiducia che consiste nel coraggio di tuffarsi nell’incerto e nell’ignoto. Alcune forme di disagio sociale, il successo o l’insuccesso scolastico, stati d’ansia e disorganizzazione, problemi di autostima e insicurezza, dipendono dalle prime esperienze di apprendimento e devono assolutamente essere presi in considerazione dal docente. I processi di apprendimento hanno, inoltre, luogo prevalentemente nell’ambito di un contesto relazionale, pertanto la qualità delle interazioni comunicative influenza la peculiarità delle esperienze di apprendimento stesso. Dal momento che l’individuo forma la propria identità attraverso un processo unitario “sinergico e interfunzionale”, fondato sull’interazione fra le singole dimensioni della personalità, “un’affettività piena, autentica, sicura finisce con l’esercitare inevitabilmente una positiva influenza sulle altre dimensioni della personalità: da quella intellettuale a quella corporea, sociale. Bloom, infatti, ritiene che esista uno stretto rapporto che lega affettività e motivazione e apprendimento, poiché le variabili affettive esercitano un’azione rilevante nei processi di conoscenza, comprensione e socializzazione che avvengono nell’ambiente scolastico.

Secondo alcune teorie psicoanalitiche la modalità che ognuno di noi ripropone per relazionarsi agli altri e con la realtà, sembra rinviare ai rapporti interpersonali dei primi anni di vita, ovvero ad affetti e comportamenti strutturati durante l’infanzia nell’ambito familiare e soprattutto al rapporto con la madre, che rappresenta la sicurezza e la disponibilità e al padre, che incarna l’interiorizzazione del dovere. In ogni relazione interpersonale significativa, quindi, si ripropongono inconsapevolmente modelli relazionali vissuti nell’infanzia con i genitori (transfert), che hanno la caratteristica di riattivare la relazione primaria. Nessuna esperienza, quindi, viene perduta, ma rimane nella mente: si creano modelli operativi interni pronti ad essere riattivati quando si presenta una situazione analoga alla precedente. Il contatto con l’insegnante può far rivivere allo studente molte emozioni che ha precedentemente sperimentato nelle relazioni familiari. Sono, infatti, gli atteggiamenti relazionali dell’insegnante verso l’allievo “che vengono da quest’ultimo interiorizzati e che si possono armonizzare con le parti interne preesistenti oppure creare conflitto con esse. Per Kohut l’equilibrio affettivo dell’alunno è legato ad “un doppio rapporto con gli oggetti: quelli interiorizzati in forma stabile e quelli incarnati da figure esterne (genitori e docenti), entrambi indispensabili per “i bisogni narcisistici fondamentali di rispecchiamento, idealizzazione e gemellarità.

Essere empatici significa percepire il mondo interiore dell’altro, come se fosse il nostro, mantenendo tuttavia la consapevolezza della sua alterità rispetto ai nostri punti di vista.

Gaia Lupattelli

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