Studenti disabituati a lezione frontale, reclamano più digitale e docenti laboratoriali. Intervista alla docente Sabrina Rizzi [INTERVISTA]

Fonte: orizzontescuola.it – 5 novembre 2021

Abstract articolo di Vincenzo Brancatisano

“La scuola e il mondo vanno a due velocità diverse. E’ una scuola che non è più inclusiva, quella in cui viviamo. Mentre il mondo va da un’altra parte si pretende che persista la scuola con l’inchiostro e il calamaio”.

Parole di Sabrina Rizzi, docente di italiano e latino presso il Liceo Ginnasio Aristosseno di Taranto, che non ha dubbi. Un anno di Dad “in cui abbiamo appreso ad utilizzare correttamente le nuove tecnologie, a coglierne le opportunità, a liberare la creatività, a far emergere i talenti”, non sarà trascorso invano, spiega.

Poiché, chiarisce lei,

“credo che la scuola tradizionale sia già lontana: saranno i nostri ragazzi a reclamare con forza l’uso del digitale. È superfluo sottolineare che i nostri alunni desiderano rientrare nelle aule, perché hanno bisogno di condividere anche quelle, talvolta, noiose ore di scuola. Ma in un anno e mezzo tanto gli adolescenti quanto i docenti hanno potenziato le loro competenze digitali, rendendo più accoglienti gli ambienti di apprendimento anche on-line. Le metodologie didattiche innovative, lì dove si è rinunciato ad una mera trasposizione della lezione frontale in video e ad una sterile trasmissione dei contenuti, hanno avuto il pregio di aver fornito ai discenti gli strumenti per poter progettare, guidati dai docenti, percorsi anche personalizzati, rispondenti ai diversi stili di apprendimento. Il lavoro cooperativo, la peer education hanno stimolato la creatività e un apprendimento significativo, dimostrando che il ricorso al digitale è un mezzo inclusivo per attivare la curiosità verso la conoscenza”.

Professoressa Sabrina Rizzi, i ragazzi intanto desiderano rientrare a scuola

“E’ vero. Siamo rientrati a scuola e i ragazzi sono felicissimi di essere tornati tra i banchi. Hanno recuperato la socialità. Non si conoscevano e hanno creato subito quella complicità che ci dev’essere sempre nel gruppo classe”.

Che cosa ha notato di particolare in quest’avvio di anno?

“Ho notato che non stanno tranquilli, seduti al banco, non sono più abituati a una lezione frontale di oltre 35 minuti e io stessa prendo la sedia con le rotelle che c’è nella mia aula – le altre sono in aula magna, non le abbiamo certo buttate – e con quella sedia mi metto in mezzo a loro cercando di destare il loro interesse limitando la lezione frontale a un massimo di venti minuti nelle classi del biennio, che diventano trenta al triennio, e quindi propongo attività laboratoriali. Di solito facciamo mappe concettuali insieme, oppure propongo dei video come approfondimento della lezione. Purtroppo non possiamo usare il tablet che hanno dato in comodato d’uso. L’uso di questi tablet dipende molto, in generale, dai dirigenti”.

Alcuni in Italia ritengono che ci si debba liberare dal digitale

“Non possiamo liberarci del digitale, perché viviamo in un mondo interconnesso e i nostri alunni hanno imparato a utilizzare internet, a fare ricerche in rete, imparano con i tutorial che trovano sul web e magari vorrebbero provare a lavorare in gruppo. Dunque loro già si ritrovano in ambiente online a lavorare insieme. Si può essere innovativi anche con carta e penna, ma il digitale aiuta e rende il ragazzo autonomo nella ricerca del proprio sapere. Io mi rendo conto che la creatività nasce quando i ragazzi si confrontano tra di loro, quando una certa idea al singolo sembra banale, poi magari all’improvviso diventa una scintilla che fa nascere un lavoro originale che consente loro di approfondire taluni argomenti invece che altri. La scuola che si limita a trasmettere solo contenuti in realtà è stata quella stessa scuola che ha prodotto l’analfabetismo funzionale di cui si parla da tanto tempo”.

Perché, secondo lei?

“Perché non sempre ha saputo stimolare i ragazzi né ha saputo far capire loro perché studiavano. Ha escluso quell’aspetto empatico ed emotivo che sono alla base della conoscenza. E si è limitata solo ad eccedere con la trasmissione delle conoscenze fini a sé stesse. Li interroghiamo, misuriamo con un voto quello che sanno e infine stigmatizziamo l’errore. Proprio dalla Dad, che io in più occasioni ho definito come scuola di emergenza, proprio da quella esperienza dobbiamo trarre gli elementi positivi per costruire la nuova scuola secondo gli obiettivi del Pnrr: una scuola delle competenze”.

Cioè?

“Noi partiamo sempre dalle competenze. La programmazione deve andare a ritroso, dalle competenze alle abilità e alle conoscenze. Dobbiamo capire quali competenze vogliamo sviluppare e da quelle arrivare alla conoscenze. Noi invece quando programmiamo nella nostra attività quotidiana ci limitiamo alla conoscenza e alle abilità. Quindi puntiamo a far conoscere e facciamo applicare la nostra conoscenza però la competenza la mettiamo in disparte. Ma la competenza oggi è essenziale. I ragazzi imparano anche e soprattutto dal territorio in cui vivono, si fa scuola oltre la scuola: è la metodologia del dentro/fuori la scuola, quella del mio vecchio dirigente che ho scelto di portare avanti. Le competenze sono conoscenze e abilità applicate in contesti reali. La competenza è autonomia, è responsabilità delle proprie scelte. Ha a che fare con la vita del singolo ed è ciò che possiamo fare nella nostra vita con ciò che sappiamo. I nostri ragazzi smettono di imparare quando escono da scuola, mi riferisco a chi non va all’università. Magari a scuola si limitano solo ed esclusivamente a imparare le pagine di letteratura per ottenere il voto ma non siamo in grado di renderli autonomi nella costruzione del loro sapere. La scuola e il mondo vanno a due velocità diverse. E’ una scuola che non è più inclusiva, quella in cui viviamo”. (…)

Ma i ragazzi reclamano davvero una scuola nuova, digitale?

“La reclamano, la reclamano. Ad esempio quando fanno i lavori di gruppo, non sempre hanno la possibilità di portare e di avere con sé il proprio device a scuola ma la scuola dovrebbe fornirlo. I docenti da parte loro hanno potenziato le loro competenze digitali, rendendo più accoglienti gli ambienti di apprendimento anche on-line. Lì dove si è rinunciato ad una mera trasposizione della lezione frontale in video e ad una sterile trasmissione dei contenuti, hanno avuto il pregio di aver fornito ai discenti gli strumenti per poter progettare, guidati dai docenti, percorsi anche personalizzati, rispondenti ai diversi stili di apprendimento. Il lavoro cooperativo, la peer education hanno stimolato la creatività e un apprendimento significativo, dimostrando che il ricorso al digitale è un mezzo inclusivo per attivare la curiosità verso la conoscenza. Ma mi preoccupa molto una cosa”.

Che cosa la preoccupa?

“Ci sono persone che pensano che i ragazzi non soffrano più. Mi è capitato più volte di verificare come molti pensino che i ragazzi abbiano superato il disagio della pandemia, che sia bastata un’estate per risolvere i problemi. In realtà li ho trovati più fragili e intimoriti. Non volevano tornare a scuola, avevano paura della scuola in presenza. C’è un’aria frizzantina, nelle classi. E’ come se per loro il voto non avesse più l’importanza di prima, studiano ma lo fanno con una consapevolezza diversa, altri hanno paura del confronto. Questi ragazzi hanno sofferto e ora vogliono recuperare il tempo perduto. Non tornerebbero in Dad, si distraggono e di questo si lamentano i colleghi. Non si vedono da un anno e mezzo. Erano a casa, staccavano la videocamera, ora devono stare in classe. Le regole devono essere rispettate ma loro devono imparare a interiorizzarle. E vogliamo parlare degli alunni delle prime classi che hanno lasciato la seconda media e si ritrovano in prima superiore con in mezzo un anno e mezzo di didattica a distanza?”

Il governo sta per mettere moltissimi miliardi del Pnrr sulla scuola. E’ ottimista?

“Dipende da come verrà realizzato il Pnrr. Penso alla formazione e spero che ci sia altro per noi, compresi i fondi. Mi auguro che ci sia un controllo costante . Comunque la mentalità del docente alle superiori deve cambiare, nel senso che ci deve essere maggiore condivisione e maggiore collaborazione. La scuola passa soprattutto dai docenti e la scuola deve diventare protagonista. E tornando ai ragazzi, che sono i veri protagonisti. Ecco, questi ragazzi non rinunceranno alle competenze acquisite, alla creatività, che è stata, per loro, libertà di espressione e costruzione di percorsi attraverso cui hanno appreso la prosa, la poesia e la grammatica. Si deve innovare sulla scia della tradizione, consapevoli che indietro è impossibile tornare”.

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