Scuola abbandonata, perché spendiamo così poco per gli studenti? quattro sfide per il Paese

Fonte: Corriere della Sera – 14 novembre 2021

Abstract articolo di Stefano Caselli

Il capitale umano e il talento non sono una risorsa scontata. Come l’ambiente, la salute e le risorse naturali, richiedono uno sforzo ed un progetto per garantire che siano protetti e possano crescere in maniera adeguata rispetto ai tempi, contribuendo al benessere del nostro Paese.

Se per la salute e forse per l’ambiente ne abbiamo colto, in maniera traumatica, l’importanza non è così per il tema educativo. Il luogo di creazione più profondo del capitale umano e del talento — che si chiama scuola — sembra infatti un tema marginale nel dibattito sociale.

Solo grazie al Pnrr viene rimesso al centro delle decisioni di politica economica e sociale. Ciò è fondamentale perché i dati del nostro sistema ci vedono un passo indietro in Europa. Dimostrano che la creazione del capitale umano e del talento non sono un fatto automatico, scontato e senza limite.

Un passo indietro che spesso viene colmato eccellenze sul territorio, dal contributo volontaristico di tanti docenti e dal ruolo delle famiglie. Cosa emerge dal confronto internazionale?

L’organizzazione e la spesa (bassa)

Se guardiamo al lato della struttura organizzativa dell’istruzione primaria e secondaria, come si vede nella tabella, l’investimento del nostro Paese si attesta sui 57 miliardi complessivi, dato stabile nel 2018 e nel 2019, e con una crescita inferiore al 10% se guardiamo al dato del 2010.

La Germania ha speso 95 miliardi nel 2018 diventati 100 nel 2019, la Francia 87 miliardi nel 2018 e 89 miliardi nel 2019. Entrambi i paesi hanno visto crescere questa voce di spesa del 15% negli ultimi 10 anni.

Inoltre, il dato italiano, se rapportato al Pil, è inferiore alla media europea: 3,21% è la percentuale del nostro paese e 3,33% quella europea.

L’Italia è indietro anche valutando la spesa per studente. Il nostro paese spende infatti 7.689 euro per studente, di poco al di sotto della media europea che è di 7.739 euro per studente, ma ben al di sotto dei 8.566 euro per studente della Francia e dei 10.141 euro della Germania.

I risultati

Se analizziamo i risultati della scuola, la preoccupazione cresce. Per i dati dei Neet (Neither in Employment or in Education or Training) il nostro Paese è, in negativo, fuori scala in qualsiasi confronto. Se guardiamo alla fascia 15-19 anni, come si vede nella tabella, i Neet italiani sono nel 2020 l’11,1% della popolazione di riferimento, ben lontana dalla percentuale europea (6,3%) e dai dati di Francia (6,1%), Spagna (7,9%) e Germania (5,2%). (…)

Il Pnrr, nella Missione 4 «Istruzione e Ricerca», dedica complessivamente 30,88 miliardi al tema educativo e della produzione di conoscenza. Di questi, 19,44 miliardi sono destinati al potenziamento dei servizi di istruzione, dagli asili nido alle Università.

Al di là degli investimenti e del denaro, che sono indispensabili come i 10,57 miliardi dedicati alle infrastrutture scolastiche, il Pnrr ha il merito, come in tanti altri campi, di indicare una strada e un metodo di lavoro procedendo per progetti e per obiettivi poi da monitorare nel loro raggiungimento.

Come ripensare la scuola?

Se guardiamo al metodo, i punti fermi di un ripensamento della scuola devono basarsi su quattro aspetti.

  1. Il primo è assicurare ai nostri ragazzi e ragazze una preparazione adeguata rispetto ai tempi. Questo non significa eliminare i punti di forza della tradizione dei nostri licei ma aprire con decisione lo spazio alla conoscenza (vera) delle lingue, dell’economia e del diritto, di computer science. L’importanza di queste discipline è oggi così decisiva che se la scuola non offre queste possibilità, inevitabilmente la soddisfazione va trovata al di fuori.
  2. Il secondo è quello dell’inclusione. Il dato dei Neet è così preoccupante che appare chiaro come la scuola non possa più permettersi di perdere studenti per strada come se esistesse una soluzione automatica al problema. La soluzione non esiste più e alimenta disoccupazione, emarginazione e tensione sociale. La riflessione va fatta e occorre disegnare percorsi differenziati di recupero, anche individuali e di accoglienza con un’apertura della scuola per tutto il giorno e per i mesi estivi. Il Pnrr dichiara che occorre pensare ad una scuola sempre aperta, ma occorreranno ben altre risorse oltre a quelle europee.
  3. Il terzo è quello della coerenza e dell’integrazione con lo sbocco con la fase successiva rispetto alla scuola secondaria, costituita dall’Università e dal mondo del lavoro. Se guardiamo all’Università, occorre ripensare l’ultimo anno della scuola secondaria — come avviene nel mondo anglosassone e per certi versi in Francia e Germania — trasformandolo in un periodo di orientamento, di creazione di percorsi differenziati in base alle scelte dei singoli, di preparazione ai test di ammissione, di conseguimento delle certificazioni che l’Università richiede. L’ennesima riforma estemporanea dell’esame di maturità è l’ultimo e il meno importante dei problemi a cui pensare. Se guardiamo al mondo del lavoro, il contenuto delle scuole tecniche deve essere maggiormente allineato — e adattato continuamente — a quelle che sono le esigenze profonde dei vari settori industriali e commerciali. Anche qui l’ultimo anno di preparazione deve essere ripensato con l’introduzione di stage di lunga durata che possano costituire un ponte effettivo con il mercato del lavoro.
  4. Il quarto è quello della valutazione. Questione difficile ma va fatto il salto una volta per tutte e accettare che le scuole abbiano obiettivi e siano misurate su questo. I risultati di prove di valutazione omogenee su livello nazionale degli studenti, la capacità di ritenere studenti «difficili» o «problematici». I dati di placement nel mercato del lavoro (per gli istituti tecnici e le scuole a orientamento professionale) e di successo nei primi anni del percorso universitario, sono esempi concreti di misurazione. Il rischio più grande che corriamo oggi è quello di non agire, lasciando la scuola come un tema periferico rispetto ad altri e già risolto dal Pnrr. Nell’immediato non accadrebbe probabilmente nulla ma sarebbe un colpo decisivo all’impoverimento dei talenti e ne pagheremmo il conto più avanti, e per sempre, a livello di paese.

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